RACCONTO DI VIAGGIO

CIAD: LA CULLA DI TUMAÏ

Sabbia che diventa roccia, roccia che scoppietta, piccoli sassi che si spezzano sotto l’azione del sole e del vento per diventare a sua volta sabbia, è il ciclo infernale di questo universo minerale.
Si racconta che eri una savana lussureggiante e verdeggiante dove elefanti, rinoceronti e altri animali selvaggi vivevano in pace e il tuo popolo di caccia e di raccolto. Allora perché le tue acque si sono nascoste tramutando il tuo verde in giallo, ocra e rosso! Perché così generoso sei diventato arido? Oramai sei quasi solo sabbia e roccia! Sarà il clima in perpetua evoluzione che ti ha cambiato inesorabilmente o una mano divina che ha voluto sfidare il tuo popolo? Forse tutte e due …
Una volta un immenso lago ti ricopriva, oggi i tuoi cieli si degnano di far gocciolare un po’ d’acqua solo alcune ore all’anno dimenticandosi di alcune zone per decenni. Il più piccolo seme dovrà aspettare a lungo l’opportunità di crescere per diventare, un giorno forse, un bell’albero sotto il quale uomini e animali troveranno un po’ di sollievo.
Sahara significa abbandonato, ma abbandonato da chi? Tra le tue dune, le tue pietre, le tue pianure nude tu vivi, palpiti, vibri…ne sono la prova i tuoi fragili e discreti abitanti che sembrano spostarsi in punta dei piedi per non infastidire il sapiente e laborioso lavorio delle tue dune e delle tue guelta. S’intravvedono solo le larghe tracce dei dromedari che vanno e vengono sino al passaggio dei venti.
Grande come l’Australia, il più caldo del mondo, tu sei uno dei più grandi deserti e il più segreto di tutti. Spesso devastato da conflitti etnici, solo da poco conosci una pace durevole qui nel Ciad. Sahara sei uno shock, un sortilegio, un’iniziazione, una nuova nozione del tempo lento e impreciso. Sei lo spazio, il silenzio, la bellezza. Tu induci a un sentimento di pienezza a chi desidera scoprirti. Tu incanti con i tuoi colori e la tua luce che cambia sotto il sole; difatti puoi apparire poco a poco dietro la nebbia evanescente dell’alba, essere completamente bianco sul mezzogiorno e incendiarti alla fine della giornata. Poiché non c’è nulla, la luce è più importante che altrove perché mostra tutto, ritaglia le ombre, modella le rocce in forme semplici o stravaganti, trascende la magia.
E tu Tumaï, “speranza di vita” nella lingua dei nomadi, 7 milioni di anni, 2 volte più vecchio di Lucy, se tu tornassi che cosa ci racconteresti? Come interpreteresti le pitture e sculture rupestri che i tuoi discendenti ci hanno lasciato in eredità per condividere con noi la loro visione del mondo? E tutti questi cambiamenti avvenuti dopo la tua scomparsa?

Il Ciad, oltre 3 volte l’Italia, meno di 1 abitante al km quadrato nel Nord offre siti eccezionali e la cordialità senza limiti dei suoi abitanti. Ma il Ciad non si preoccupa della sua popolazione nomade che trascura senza comprendere che senza i nomadi questo fragile eco sistema non ci sarebbe mai pervenuto. Se i nomadi hanno saputo adattarsi alla massima ostilità del Sahara, pur avendo una vita armoniosa in quell’ambiente, ora sono minacciati nella loro sopravvivenza e spinti lentamente verso una vita sedentaria. I nomadi incontrollabili, indipendenti disturbano i governi e inoltre il loro modo di vita è percepito come arcaico. Nonostante vivano in condizioni di estrema povertà, sotto un caldo opprimente, i nomadi sono i guardiani di questo mondo vegetale e di roccia, proteggendolo senza distruggere nulla per poterlo tramandare intatto alle generazioni future. Senza diploma né educazione ma ricchi di un sapere scritto nei geni dalla notte dei tempi le autorità si disinteressano del loro destino, a malapena vengono soddisfatte alcune semplici richieste come costruire un nuovo pozzo o ricevere forniture scolastiche.

Depositari del dono di osservazione, soltanto loro sanno come dirigersi senza perdersi, vigilare sui tesori del Sahara, essere sempre sull’attenti sorvegliando la minima traccia che potrebbe lasciar suppore che qualcuno abbia sbagliato la pista e sia in pericolo. La sicurezza in questo mondo inospitale è affare di tutti e riposa sull’interpretazione di ogni segno, movimento e cambiamento percepito. Molto prima di voi gli occhi dei nomadi avranno intravisto un animale che si confonde col colore della sabbia, i nomadi avranno udito il fruscio di una foglia mossa dall’Harmattan e percepito il pericolo.
Nessuno oserebbe mettere in dubbio la direzione che segue Ahmed senza esitazione. È lui che guida il nostro convoglio. A volte il paesaggio non offre alcun punto di riferimento o le tracce lasciate dai venti nella sabbia sono difficilmente percepibili. Molte volte le creste delle dune non presentano punti distinti o non vi sono rocce, alberi, montagne all’orizzonte e nonostante tutto Ahmed sa! Certo c’è il sole, ma senza bussola come si fa a individuare un punto preciso a 2 o 3 gradi? Il GPS che consultiamo è sicurissimo, Ahmed non si sbaglia! Non ha alcun strumento di navigazione, ma sa di andare dritto al punto. Come? Risponde che lui sa, che è già passato di qui, che può ritrovare qualsiasi oasi, montagna o pozzo da qualsiasi parte del Sahara. Ci confida che si perderebbe se dovesse dirigersi con l’aiuto di una cartina o del GPS! Come le carovane sembra avere sviluppato un vero sesto senso dell’orientamento come quello dei grandi uccelli migratori. Ahmed percorre sin dall’infanzia queste distese di sabbia, ora ha più di 40 anni, la geografia del deserto è oramai ancorata nel più profondo del suo essere, rendendo il mistero della navigazione ancora più affascinante.
Oggi grazie al nostro autista guida Ahmed, vecchio pastore di dromedari nell’Ennedi prima di riconvertirsi a pastore di turisti in cerca di avventura, abbiamo percorso migliaia di kilometri sicuri di arrivare sani e salvi senza nessun GPS. Il GPS non può in nessun modo competere con gli itinerari stampati nella sua mente sin dall’infanzia. La seconda auto 4x4 del nostro convoglio si perderà all’uscita di Om Chalubat. Prenderà la direzione sbagliata seguendo le tracce ormai invisibili dell’unico veicolo incrociato quel pomeriggio! Ahmed rimarrà come un marinaio di vedetta a volte sul tetto della macchina, a volte sdraiato sulla pista intuendo esattamente che cosa era successo e che cosa succederà alla jeep smarrita se continuasse a seguire la pista sbagliata senza ritornare al punto di separazione del convoglio. Dopo due ore di vana attesa, Ahmed convinto che l’altra jeep aveva deciso di continuare sulle piste dei dromedari, prenderà la decisione di dirigersi verso la guelta dell’Archei , tappa finale della giornata. Nonostante il ritardo arrivammo primi, accogliendo i nostri compagni di sventura con un rasserenante te verde zuccherato di cui solo i nomadi ne conoscono il segreto della preparazione.

Ci ricorderemo sempre dei molti momenti ricchi di emozione come ad esempio quando appena scesi dalla nostra jeep per la pausa pranzo abbiamo visto arrivare, uscita dal nulla, una ragazzina che portava un recipiente pieno di latte di dromedaria fresco e cremoso. Senza fare rumore, in segno di benvenuto, lo depositò e andò a sedersi a qualche metro di distanza da noi aspettando che avessimo bevuto tutto. Con il recipiente vuoto è poi ripartita, sorridendo e senza dire una parola per raggiungere la sua famiglia.
“Anche se ci aveste portato solo una matita, ci saremmo sentiti onorati ugualmente, perché questo significa che qualcuno ha pensato a noi”. E’ con queste parole che il responsabile di una piccola scuola nei pressi dei laghi Ounianga ci ha ringraziato quando abbiamo lasciato in dono materiale scolastico.
Tutto il fascino del deserto era concentrato in quei momenti semplici ma indimenticabili.
Sahara sorprendente certo per la sua immensità, ma soprattutto per la diversità dei suoi paesaggi: tassili, foresta di alberi spinosi o altre essenze, dune di pietre, dune che si spostano, sabbia a perdita d’occhio, dove le carovane soffrono per giorni, dove le nostre navi del deserto d’acciaio talvolta si insabbiano andando a tutta velocità su queste vere autostrade bionde, o saltellano quando la sabbia diventa lamiera ondulata o sobbalzano quando il suolo diviene più duro del cemento. Le ore calde sono ormai passate quando ci fermiamo alla fine della giornata. La luce si fa dolce, il deserto accogliente, le ombre si allungano. Le jeep vengono scaricate. In pochi minuti l’accampamento è pronto. L’acqua bolle nella teiera, il mil o la pasta cuociono. Aiutiamo in cucina. La sera è un grande momento di rilassamento per tutti, la stanchezza ci inebria, il silenzio è assoluto sotto migliaia di stelle che scintillano. La notte segna lo spazio infinitamente vuoto che ci circonda. Nella notte il grande deserto si riduce al piccolo perimetro del nostro campo illuminato da un piccolo e caldo fuoco.
I luoghi nei quali ci insediamo la sera per bivaccare ci offrono al mattino panorami mozzafiato a 360°. I luoghi scendono in dolci e lunghi pendii prima di imbattersi contro una catena di montagne rocciose che l’erosione si appresta a tagliare a pezzi. Non sono veramente delle montagne, tuttavia, visto la mancanza di rilievi nei dintorni, la minima sporgenza assume una rilevanza dieci volte più importante delle sue reali dimensioni, come se in quel paesaggio sepolcrale, ogni altura avesse bisogno di esagerare il suo volume per non scomparire definitivamente. L’alba fresca vede agitarsi le ombre, le fiamme riscaldare i corpi intorpiditi, si prepara il primo tè del mattino. Lentamente il campo si organizza per la partenza.

L’ostilità delle pietre che sembrano essere state frantumate da un terribile terremoto, scogliere verticali, laghi e sorgenti nascoste, maestosi blocchi di arenaria grandi come montagne e scolpiti dal vento carico di granelli di sabbia e dai colori che cambiano senza fine secondo la luce, Ennedi, Burku, Murdi, Tibesti ognuno ha il suo carattere, la sua durezza, la sua purezza, la sua armonia, la sua esuberanza ma anche la sua sconvolgente bellezza che non possiamo e non potremo mai stancarci di ammirare.

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